Khaled I. Mahmoud non è un nome conosciutissimo, anzi.
Questo probabilmente perchè gli ultimi 26 anni della sua vita li ha trascorsi in carcere, e anche ora cerca di non farsi riconoscere: “chi deve uccidermi sa che faccia ho, sa anche dove trovarmi. Non serve nascondermi dai miei assassini. Ma non voglio essere riconosciuto dalla gente che incontro per strada […] da chi vedo tutti i giorni”.
Ma partiamo dall’inizio; oggi ha 44 anni, tutti trascorsi in carcere da quando, appena diciottenne, il 27 Dicembre del 1985 fu uno dei quattro che misero in atto la Strage di Fiumicino.
“Non ero io il capo. Quella mattina chi doveva guidarci non si presentò all’appuntamento. C’era un ordine da seguire e nessuno di noi quattro trovò il coraggio di tornare indietro. […] Mille e mille volte ho rivisto quella scena, ho vissuto quegli attimi. E mille volte ho immaginato di scappare. […] Ma non posso cambiare niente di quel giorno. Da 26 anni aspetto di morire. So che arriveranno prima o poi a finire quel lavoro“.
Capire di chi parla non è semplice, queste vicende dopotutto non lo sono mai; lui dice che si tratta del Mossad i cui agenti “Erano in aeroporto e ci aspettavano, confusi tra i turisti, fra i passeggeri in attesa. Loro erano lì. E torneranno a cercarmi. Lo so”.
Gli agenti però sarebbero spariti, come nel più classico dei film di spionaggio, senza lasciare traccia, anche se compaiono nelle ricostruzioni di alcuni testimoni. (Ovviamente, non è specificato se appartengano o meno al Mossad) E Khaled ancora li aspetta, ma non con le mani in mano; nel tempo trascorso in carcere si è laureato e ora vive a Roma, che non potrà lasciare per tre anni. (Ha potuto beneficiare di una scarcerazione anticipata per buona condotta)
Ma non è l’unica accusa; anche l’Italia viene citata direttamente: “L’Italia aveva ricevuto un’informativa dai Paesi arabi, sapevano della nostra presenza a Roma, di un attentato tra il 25 e il 31 Dicembre. Sapevano che avremmo colpito a Fiumicino. Lo sapevano i servizi segreti italiani e quindi lo sapeva anche il Mossad. Potevano fermarci ma non l’hanno fatto“. Così racconta l’uomo, che è palestinese per i palestinesi compì quel gesto, ma che in Palestina non c’è mai stato.
Khaled ha una vita tormentata, nacque in un campo profughi in Libano, divenne guerrigliero a 12 anni e nel 1982, dopo aver assistito a un massacro nel suo campo a cui gli israeliani -lui dice- assistettero senza fare nulla (Quel massacro è realmente avvenuto, e secondo la Croce Rossa Internazionale potrebbe contare qualcosa come tremila morti) si arruolò nell’Al Fatah. Aveva quindici anni, e il resto è Storia, come si usa dire.
A questo punto i più smaliziati di voi si staranno chiedendo; perchè proprio questa Storia? Una risposta c’è, ed è un collegamento tra le parole di Mahmoud e alcuni “temi” recenti. Ora capirete.
Aggiunge: “Alcuni documenti della CIA desecretati confermerebbero che dietro i numerosi attentati dell’organizzazione di Abu Nidal, compresi quelli di Fiumicino e Vienna, ci sarebbe stato il supporto della Libia. A quel tempo il quartier generale del terrorista era a Damasco, ma aveva già contatti con il governo di Gheddafi“.
Ora noi non sappiamo se sia vero, o se non lo sia. Ma mentre il -non più- giovane Khaled riconosce i suoi errori, pur sapendo che farlo non lo giustificherà mai, e mentre i suoi complici furono uccisi mentre l’azione si compiva, se il coinvolgimento libico fosse reale il Colonnello avrebbe del sangue italiano sulle proprie mani. Glielo ricorderemo quando si farà vedere.